Sul posto di lavoro sussistono una serie di regole non scritte che costituiscono il galateo del buon dipendente (vestito bene) e che negli anni hanno subito diversi cambiamenti, complici il momento storico e i giudizi diffusi.
Secondo uno studio condotto da quattro studenti del Central College (Iowa, USA), Dress Codes in the Workplace: Effects on Organizational Culture, negli ultimi 30 anni i codici di abbigliamento di molte aziende statunitensi sono mutati drasticamente, specie nelle aree di casual, business casual e formale. Questa analisi, inoltre, ha confermato come il codice di abbigliamento adottato in un ambiente lavorativo abbia un effetto diretto sul comportamento dei dipendenti e sulla loro produttività, oltre a essere un mezzo di identificazione del ruolo sia per chi indossa sia per chi interagisce.
Formale, business casual e casual
Dall’era di Internet in poi, le aziende hanno cominciato a percepire gli effetti negativi di un codice di abbigliamento troppo casual, rendendosi conto che incoraggiava un’atmosfera troppo amichevole e promuoveva la mancanza di autorità. .
Sono state avanzate diverse ipotesi sulla correlazione tra informalità e produttività in azienda: mentre inizialmente questa dipendenza era favorevole, col tempo si è trasformata in un motivo di distrazione per i dipendenti. Un’indagine che ha coinvolto 1000 dirigenti HR ha evidenziato che circa il 50% delle aziende con politiche casual denunciava ritardi, assenteismo e frivolezza. Una politica di abbigliamento formale, invece, oltre ad appiattire le gerarchie, genera fiducia nei dipendenti e nei clienti e promuove la sicurezza in se stessi e nelle proprie competenze. L’impiegato che veste in modo formale è ritenuto più credibile e ha più possibilità di essere considerato idoneo alla promozione. Per bilanciare professionalità e ambiente rilassato, dunque, le aziende farebbero bene ad alternare casual e formalità, così da incentivare prestazioni di livello e mantenere sempre alto il morale dei team.
Lo studio conclude che, pur non esistendo un “gold standard” del codice di abbigliamento, vi è un sistema nel quale identificarsi in base a cultura e valori aziendali. La policy di abbigliamento, in quanto vettore di tali fattori, è un elemento primario da conoscere e tutelare.
«Da quando questi studi sono stati svolti il mondo è mutato: oggi il lavoro vive di flessibilità, la separazione tra casa e ufficio è sempre meno marcata e le regole di bon ton seguono la moda del momento – spiega Paola Farina, personal stylist e consulente d’immagine – Tuttavia, resta inalterata la necessità di essere coerente con i valori e la visione della realtà in cui si vive, in azienda così come nel privato. Compito di noi professionisti è saper interpretare questa realtà e le persone al suo interno, coglierne l’essenza e creare un’immagine che sia fedele specchio dell’anima».
Fonte: altraeta.it
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