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I GIOVANI TRA STUDIO E LAVORO

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27 Dicembre 2018

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Innovazione, formazione continua e multidisciplinarietà: il punto di vista di Francesco Perrini, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università “Bocconi” di Milano.

Quale preparazione hanno, oggi, i ragazzi che escono dal percorso formativo liceale? Ci sono stati cambiamenti da questo punto di vista negli ultimi anni?
La sensazione che ho io, come docente del primo anno, che accoglie ragazzi liceali in una Facoltà di Economia e Management come la nostra, è che questi studenti siano sempre più preparati. A volte sono anche più motivati e sicuramente hanno più competenze di tipo “matematico” e quelle che si chiamano “soft skills”. Nel loro percorso di studi hanno iniziato a fare un lavoro di gruppo, qualcosa di diverso rispetto al liceo “standard” e soprattutto sanno le lingue, almeno l’inglese, lo conoscono già a livelli molto elevati, cosa che fino a 20 anni fa non succedeva.
Le scuole, quindi, riescono a preparare meglio i giovani al percorso accademico?
Generalmente parlando, rispetto al percorso accademico, quelli che entrano all’Università sono più preparati rispetto al passato ma l’aspetto delle lingue, il loro studio e approfondimento, è in parte delegato alle famiglie che indirizzano i figli verso percorsi extra curriculari.
Nello specifico, molto sembrerebbe dipendere, oltre che dalla scuola, dalla sezione in cui si capita. C’è una sorta di “randomizzazione” in questo senso: se prima era famoso, rinomato, un determinato liceo, adesso vale ancora questa regola ma devi avere anche “fortuna”, capitando nella giusta sezione con professori più bravi, più “illuminati”.
Quali sono le aspettative dei giovani che iniziano il percorso di studi universitario? Sono più sognatori o più realisti?
I giovani, oggi, sono concreti, consapevoli del percorso che intraprendono, hanno le idee chiare sulla formazione universitaria ma sono, allo stesso tempo, sognatori. Infatti, è in aumento il numero dei laureati e soprattutto di quelli che si inventano il proprio lavoro. Sono entrati nella mentalità che non c’è per forza il percorso aziendale o quello del posto fisso ma tentano anche altre strade che portano alla creazione della propria attività e di start up. I giovani abbracciano, quindi, l’innovazione e l’alternativa.
Nel percorso universitario noi docenti, dal primo anno, presentiamo loro il “Job Market”, una sorta di fiera dove le aziende mostrano il mercato del lavoro, spiegano quello che significa andare a lavorare in un’azienda, in una banca, in una multinazionale, in un’istituzione internazionale e così via. Alla fine dei cinque anni, hanno consapevolezza di quello che andranno a fare nel futuro. Prima era tutto lasciato a ciascuno di loro, alla famiglia, ai giornali, a quello che leggevano e non c’era questo contatto quotidiano con le aziende.
Quali requisiti cercano le aziende nei giovani laureati? Quali sono le competenze più richieste sul mercato del lavoro?
Le aziende chiedono che gli studenti abbiano una solida preparazione di base e un’ampia strumentistica a disposizione: questo non significa che quando iniziano a lavorare in un’azienda, fin dal primo giorno debbano sapere risolvere i problemi ma devono sapere come muoversi e credo che loro sappiano come fare. La seconda richiesta è quella di avere sviluppate le cosiddette “soft skills”, lavorare in gruppo, fare le presentazioni, sintetizzare documenti e riuscire a spiegare la propria attività ai capi o ai pari grado, saper partecipare con il proprio ruolo ai processi decisionali, saper parlare in pubblico e così via. Una cosa importante tra i requisiti, è l’innovazione: i giovani, devono sfruttare il tempo che hanno a disposizione per fare “autoformazione”. Ciò non significa rimanere nel proprio ambito di studi ma aumentare il proprio bagaglio culturale anche con contenuti paralleli. Conviene avere una specializzazione quando si lavora in azienda ma se i ragazzi riescono a diversificare le esperienze, riescono a inserirsi meglio in ogni realtà. Una stessa attività nel “cliente 1” sviene svolta in maniera diversa nel “cliente 2”: avere un bagaglio culturale più ampio, aver fatto esperienze diversificate, che possono andare dallo sport al volontariato, può dare idee e slancio.
Oggi non si può pensare di operare in un settore e rimanere costantemente su quello: non bisogna perdere il focus ma allo stesso tempo, bisogna puntare alla multidisciplinarietà e alla formazione continua.
 

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