Intervista a Francesco Di Ciommo, Direttore Generale dell’azienda torinese, leader nel settore automobilistico
Matteo De Leonardis e Francesca Leonzi, Ufficio Marketing SGB Humangest Holding
Un modello di business nuovo e vincente: questa è stata la svolta operata da Francesco Di Ciommo, Presidente e Ceo dell’azienda Ford Authos, che in pochissimo tempo si è imposta nel mercato automobilistico torinese, con numeri da capogiro. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare come puntare su mobilità, giovani risorse e social media, abbia dato una svolta alla sua attività.
Ford Authos ha sviluppato un nuovo modello di business: in cosa consiste e come è nata questa idea?
Abbiamo sviluppato un modello di business che si differenzia da qualsiasi altra concessionaria, perché punta, come priorità, non alle vendite ma all’ingaggio del lead qualificato. Oggi si sta puntando molto sullo show room traffic virtuale, in cui le persone, nella loro fase di scelta di acquisto, incominciano a individuare dei criteri di selezione solo ed esclusivamente attraverso i canali social e web. Ogni azienda deve cercare di sviluppare un modello che non è basato solo sulla vendita, che è una conseguenza, poi, dell’ingaggio, ma concentrarsi sulla produzione dell’ingaggio.
L’altro approccio che bisogna sviluppare è quello qualitativo, fare branding, utilizzare un altro elemento social che si basa sullo story telling, la capacità di creare un contenuto che non riguarda la vendita ma riguarda una storia, un concetto, un valore che si può rappresentare in vario modo. Da lì si sviluppano una serie di contenuti video da riportare sui social in modo da creare un impatto emotivo.
Questi due approcci determinano una struttura differente e non standardizzata: attraverso i social misuro il costo e il ritorno dell’investimento, in termini di contatti o di leads che riesco a generare. Lo show room traffic virtuale arriva al BDC, il Business Development Center. Si tratta di un gruppo di 13, 14 persone, ragazzi e ragazze che hanno una grande capacità di ingaggio telefonico. Non sono call center ma consulenti telefonici che hanno la capacità di mantenere caldo l’ingaggio che proviene dalla comunicazione. Lo gestiscono, creano aspettativa, spiegano il prodotto, confermano che la comunicazione è veritiera e passano l’ingaggio al consulente, il quale deve, poi, gestirlo al meglio.
Attraverso il web e i social, quindi, viene fatta la prima fase di contatto e ingaggio del cliente qualificato…quali cambiamenti ha portato questo tipo di approccio?
Il web ha un suo perché di esistenza, è una piattaforma in cui confluisce tutto il social ma quello che è più importante e decisivo è proprio il social, il motore: il web è l’atterraggio, il social è l’attacco. Io faccio comunicazione solo così, non faccio affissioni, giornali, stampa, volantini: per me sono tutti sistemi di comunicazione antichi e con efficacia zero. Ho avuto il coraggio, credo di essere il primo in Europa, di abbandonare tutta la forma comunicazione tradizionale e buttarmi su questo tipo di comunicazione, che è risultata vincente.
Il problema, oggi, si può definire anche culturale: molte volte c’è una concezione del marketing e del web marketing che possiamo definire un po’ “antica”, mentre questa dei social è l’attualità, è corretto?
C’è un cambio generazionale in questo momento del mercato: chi ha creato aziende nel passato, l’ha fatto in un mercato strutturato in un certo tipo e ragiona in quel modo, chi nasce adesso, nasce in questo nuovo modo di comunicare ma non ha l’esperienza e la forza alle spalle di un’azienda già costituita. Questo cambio generazionale, però, porta scetticismo verso i social anche se questo processo, nella struttura del business, non basta perché deve cambiare anche il modello di organizzazione aziendale. Sono stato in America e il mio approccio è molto americano, meritocratico e di equilibrio: chi vale va, chi non vale non può andare in un ruolo. Io ho dovuto educare l’azienda a fare questo cambiamento mentale.
I giovani sono il motore dell’azienda, cosa rappresenta avere una forza lavoro del genere?
I nostri ragazzi del marketing hanno 24, 25 anni, il 60% dei nostri consulenti in azienda hanno quest’età. Bisogna, però, pagare i giovani, coinvolgerli settimana dopo settimana in un progetto innovativo, stimolarli nell’utilizzo di tecniche social e portarli a creare l’effetto WOW ogni giorno. I giovani devono fare la differenza rispetto al vecchio mondo dei consulenti: il 60% del mio tempo in azienda è basato sulla loro formazione: ci sono tantissimi di loro che hanno voglia di esprimere il loro talento e io ho dato loro la possibilità di esprimersi in un contesto vincente e di dinamicità.
I vostri canali social coinvolgono, invitano all’interazione ma prima di arrivare a questo punto come è nata l’azienda?
Authos è una realtà nata 60 anni fa, è un’azienda che ha un branding molto forte, come storicità ed è molto legata al territorio piemontese. A partire dal 2014 ho sviluppato questi risultati con un nuovo approccio strutturale e gestionale, triplicando il fatturato negli ultimi due anni. Oggi, tra consulenti e dipendenti, siamo 208.
Come vede il futuro?
Vorrei continuare a investire nei giovani e ho sviluppato un lab di vendita di auto, situato nei centri commerciali. Ci sono 4 macchine esposte, giovani che spiegano le caratteristiche, fanno provare l’auto. Si crea un flusso di persone molto alto: vedendo, toccando il prodotto si crea un’intenzione all’acquisto dove prima il cliente non l’aveva. Qui si congiunge il social con la fisicità del luogo in cui tendenzialmente le persone vanno, il centro commerciale è il social fisico.
Come funziona tutto? Le persone…puoi avere l’involucro più bello, il processo più corretto ma se non hai le persone motivate non serve a nulla. Nei miei processi di selezione non importa non se sei laureato, se sai le lingue, importa la fame che hai, il talento la volontà di esprimerti e di approcciarti a questo progetto.