A 20 mesi dal lockdown il mercato del lavoro italiano ha cambiato connotati.
Se rispetto al pre-Covid mancano ancora all’appello quasi 200mila occupati è solo per effetto di un vistoso crollo delle partite Iva. I lavoratori alle dipendenze, secondo l’Istat, già a settembre hanno superato il livello del febbraio 2020. Ma i tempi indeterminati hanno ceduto il passo, sostituiti da contratti brevi che spesso sono anche a tempo parziale. Un’evoluzione che, come ha evidenziato l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, inevitabilmente allarga la platea dei working poor, le persone che nonostante abbiano un posto non arrivano a fine mese e hanno bisogno del sostegno del welfare. Perché la retribuzione media di un lavoratore precario (dati Inps 2020) è di 8.500 euro che scendono 5.600 per gli stagionali, a fronte dei 24.500 di chi ha il lavoro stabile.
A ottobre 2021, a fronte di 22,9 milioni di occupati contro i 23,1 milioni del febbraio 2020, i dipendenti erano ormai oltre 18 milioni: più dei 17,9 milioni che si contavano prima del Covid. Ma se ante pandemia i contratti stabili viaggiavano oltre quota 15 milioni, ora sono sotto quel livello. Nel complesso oltre l’80% delle attivazioni ha riguardato rapporti di lavoro precari. E non solo nei servizi, turismo in particolare, ma anche nella manifattura: su 83.300 attivazioni nette nel comparto nel periodo gennaio-ottobre, 81.800 sono state a tempo. Circa un terzo dei nuovi contratti sono inoltre a tempo parziale.
L’altro aspetto che salta all’occhio guardando le serie storiche Istat è che la ripresa occupazionale sta andando soprattutto a beneficio le fasce di età più avanzate. Tra gli over 50 si contavano a ottobre 8,9 milioni di occupati contro gli 8,7 di febbraio 2020, mentre nella fascia 35-49 anni dopo un recupero estivo si è tornati a quota 8,97 milioni contro i 9,2 milioni del pre Covid. Tra i 25 e i 34 anni gli occupati sono invece 4 milioni e 22mila, circa 30mila in meno nel confronto con il pre-pandemia.
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Fonte: Il Fatto Quotidiano
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