I risultati del sondaggio promosso da Humangest sui laureati e il lavoro: meno paura di restare senza impiego, ruolo chiave alla fiducia nell’ambiente di lavoro.
La carriera non sostituisce la passione e la soddisfazione; la certezza del lavoro è importante ma meglio avere una vita bilanciata tra professione e privato; la retribuzione è un segno importante di valorizzazione e anche uno strumento di pianificazione e soprattutto – tema cruciale che enfatizza come stia mutando la percezione del lavoro – nulla vale la permanenza in un contesto lavorativo considerato tossico. In sintesi è quanto emerge da una ricerca, promossa dall’agenzia per il Lavoro di SGB Humangest (gruppo italiano specializzato nei servizi di recruitment, formazione, gestione delle risorse umane e outsourcing) e realizzata con il contributo tecnico del Cirsis (Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Sistemi di Istruzione Superiore) dell’Università di Pavia. Lo studio è stato condotto su un campione di mille giovani laureandi e laureati. «Tanto dalle nostre aziende clienti, quanto da quello che registriamo al nostro interno ci è arrivata la sollecitazione a cercare di capire un movimento nuovo. Mi riferisco alle dimissioni: perché in questi mesi molti lavoratori hanno scelto di lasciare la loro occupazione», racconta Gianluca Zelli, amministratore unico di Humangest. «A stupirci è stato soprattutto il turn over importante nell’ambito dell’industria», prosegue.
Il risultato? «I giovani non sentono l’urgenza di rientrare nel mondo del lavoro, non hanno paura di restare fuori anche per un periodo lungo», dice Zelli. «Questo anche perché – prosegue Flavio Ceravolo, professore di Sociologia che ha guidato il team di ricerca – a differenza di quanto accadeva ai loro padri tanto i laureati che i neolaureati vedono tutto in chiave olistica, c’è il lavoro ma c’è anche la vita», da qui il valore riconosciuto allo smart working da parte dei laureati.
E in questa ottica rientrano i molteplici aspetti della fiducia che deve dominare il contesto entro cui si svolge la propria prestazione lavorativa. La fiducia che passa attraverso il giusto riconoscimento in termini di merito (“abbastanza” importante per 33,3% dei laureandi, “molto” importante solo per l’8,5 per cento; “abbastanza” importante per il 19,2% dei laureati, “molto” importante per il 4,5%) e della retribuzione. Ma anche attraverso un clima relazionale sano ed equilibrato che nelle sfumature che vanno da “abbastanza” a “molto” è riconosciuto cruciale da quasi il 70% dei laureandi e da quasi il 60% dei laureati. Proprio la tossicità delle relazioni costituisce il criterio di innesco per le scelte lavorative: meglio rimettersi in gioco piuttosto che stare male.
Da qui il riconoscimento al valore della retribuzione che viene percepito da un lato come un segno di valorizzazione, dall’altro come strumento importante di pianificazione: «I giovani – spiega Ceravolo – sono proiettati all’instabilità lavorativa e proprio per questo chiedono una retribuzione adeguata, perché in questo modo possono alternare i momenti in cui lavorano a quelli in cui sanno che resteranno fuori». Una visione concreta: una retribuzione adeguata consente eventualmente di affrontare anche i momenti di assenza di occupazione con una certa tranquillità. Inoltre una retribuzione adeguata è sinonimo di uno stile di vita sostenibile nel tempo. «Anche il bisogno di un clima sereno viene visto come un elemento di produttività», dice Zelli. Come dire: solo se si sta bene si può lavorare bene.
Fonte: Il Sole 24 Ore, articolo di Serena Uccello.
Vuoi saperne di più?
Trova la tua filiale!